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Ammiccare al passato: segnali silenziosi che parlano al cuore
Come uno sguardo fugace può raccontare ciò che non è mai stato detto
Ci sono parole che non hanno bisogno di essere pronunciate. Gesti, sguardi, accenni appena percettibili che dicono tutto senza dire nulla. “Ammiccare” è proprio questo: una comunicazione che vive di sottintesi, un dialogo nascosto che si nutre di complicità. E quando penso al concetto di ammiccare, il collegamento con la mia esperienza personale, raccontata nel nostro libro Lasciato Indietro, diventa quasi inevitabile.
Nel corso della mia vita, ho spesso sentito il peso di parole non dette, di verità lasciate in sospeso, di promesse che si sono frantumate nel silenzio. Eppure, quegli sguardi pieni di significato, quelle piccole complicità, hanno avuto un ruolo centrale nel raccontare ciò che non veniva espresso apertamente.
Nel libro, descrivo momenti cruciali: una serie di ultimi incontri con mia figlia, ognuno segnato da lacrime e silenzi che parlavano più delle parole. Lei non disse mai troppo, e io, intrappolato tra il dolore e la speranza, mi ritrovavo ogni volta a cercare risposte nei suoi occhi. E lì, tra le lacrime non piante e il sorriso accennato, c'era un ammiccare. Era il suo modo di dirmi "Non ti dimentico". Ed era il mio modo di risponderle, senza parole, "Non smetterò mai di lottare per te". Quegli incontri, così intensi e struggenti, restano impressi come frammenti di un puzzle di emozioni in una situazione che sembrava all'apparenza irrisolvibile.
Ammiccare e le relazioni umane. L’azione di ammiccare non è mai neutrale. È un gesto che richiede reciprocità, una sorta di accordo tacito tra le parti. Può essere complice, ironico, o perfino malizioso, ma è sempre intimo. Nelle relazioni più profonde, questa intimità silenziosa è spesso più eloquente delle parole.
L’ammiccare come strumento narrativo.
In "Lasciato Indietro", ho voluto raccontare il dolore della perdita e dell’alienazione genitoriale senza mai cadere nella trappola della retorica o del vittimismo. Ho cercato di trasmettere quei momenti di ammiccamento emotivo, di segnali silenziosi che scandiscono le nostre vite e che, spesso, rimangono impressi più delle frasi urlate.Ad esempio, il primo incontro con la psicoterapeuta fu una scena intrisa di tensione. Ricordo il suo sguardo che sembrava voler ammiccare, quasi a dire: “Capisco il tuo dolore, ma non posso dirlo”. Anche in quel contesto istituzionale, dove le parole hanno un peso enorme, i segnali non verbali furono protagonisti.
La potenza di un gesto. Ammiccare è uno strumento potentissimo anche nella scrittura. Perché ciò che non viene detto esplicitamente ha un impatto ancora più forte sul lettore, costringendolo a “leggere tra le righe”, a cercare il significato nascosto.
Nel nostro racconto, ho volutamente lasciato alcuni capitoli aperti all’interpretazione. Non perché volessi essere criptico, ma perché volevo offrire a chi legge l’opportunità di fare il proprio viaggio emotivo, di trovare i propri collegamenti con le esperienze raccontate.
Una riflessione sul presente. Oggi, dopo aver attraversato il dolore e la rinascita, mi rendo conto che molti rapporti umani si basano proprio su questo: su piccoli segnali, su ammiccamenti che costruiscono ponti tra le persone. Con mia figlia, sto lentamente ricostruendo quel ponte. Ogni suo messaggio, ogni piccola parola sembra voler ammiccare a qualcosa di più grande. Un “sto bene” che significa “mi manchi”, un “ti voglio bene” nascosto dietro un “buon compleanno, papà”.
E io rispondo nello stesso modo. Non è facile trovare le parole giuste quando il dolore ha scavato solchi profondi, ma a volte basta uno sguardo, un accenno, per ricominciare a costruire.
Come imparare a leggere e a usare i segnali silenziosi. L’arte di ammiccare non si improvvisa. Richiede empatia, attenzione, e una buona dose di coraggio. È un invito a lasciar cadere le maschere e a mostrarsi per ciò che si è davvero. Può essere utile, soprattutto nei momenti di crisi, fare un passo indietro e osservare i gesti e gli sguardi che ci circondano. Spesso, quello che non viene detto è più importante di quello che si dice. Ecco alcune strategie che ho imparato nel tempo:
Osserva senza giudicare: uno sguardo diretto o un sorriso tirato possono nascondere mondi di emozioni. Sii consapevole dei tuoi gesti: ogni tuo movimento comunica qualcosa, anche quando non te ne rendi conto. Rispettare i silenzi: non tutto deve essere riempito di parole; a volte, il silenzio è l’unica risposta necessaria.
“Ciò che non si può dire e ciò che non si può tacere, la musica lo esprime” — Victor Hugo.
Questo vale anche per il linguaggio del corpo: ammiccare è come una melodia che racconta ciò che le parole non riescono a spiegare.
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